Il Mulino ad acqua

Un'antica pergamena del 726 documenta la presenza nel territorio pistoiese di una “casa signorile con mulino”, ma è a partire dall’anno Mille in coincidenza con la ripresa economica e demografica che queste strutture si diffondono sul territorio.

I mulini ad acqua sono alimentati a monte da una vasca chiamata "margone" e da un canale di raccolta che convoglia l’acqua in un vano interrato denominato "carcerario o inferno", al suo interno alloggia la turbina detta "ritrecine", formata da un palo centrale collegato ad una ruota idraulica posta in posizione orizzontale, costituita da pale di legno a forma di cucchiaio. L’energia dell’acqua muove le pale e si trasforma in energia meccanica, che aziona nel soprastante locale adibito a macinatoio, un disco di pietra chiamato "macina" o "palmento".

La potenza di un mulino ad acqua di medie dimensioni, un tempo poteva raggiungere una velocità rotatoria di 100/150 giri/minuto e 100/120 Kg/ora.

Nel 1296 venivano censiti sul territorio pratese 67 mulini, rispetto ai 14 che erano presenti a Firenze a metà del 1300, mentre nel 1425 sono censiti in totale 62 opifici idraulici. Nonostante il devastante effetto sulla città provocato dal Sacco di Prato, nel 1590 ne permangono sul territorio ben 66, mentre nel 1698 vengono censiti 55 impianti anche se nello stesso periodo, si registra un aumento consistente di palmenti.

 

Foto di mulino ad acqua e di ritrecine

foto mulino ad acquafoto ritrecina

 

 

 

 

 

 

 

 

La gualchiera

Lo strutturato reticolo di gore presenti sul territorio pratese fin dal Basso Medioevo ha permesso la nascita di opifici produttivi chiamati nei secoli passati "gualchiere".

Ancora oggi ci sono toponimi di strade e piazze che testimoniano la presenza di questi immobili, come piazza della Gualchierina nei pressi di via Bologna o come via della Gualchiera in località Coiano, dove è ancora presente un raro esempio di archeologia industriale, conosciuta come la Gualchiera di Coiano.

Nelle gualchiere l'energia idraulica prodotta dalle acque, consentiva a dei rulli di girare i teli di tessuto, questo procedimento chiamato "follatura", restituiva un tessuto di lana più compatto e impermeabile.

Il tessuto veniva trattato con la terra da follone chiamata "gualcio", un’argilla con proprietà feltranti, che nei secoli passati era prelevata dal Poggio di Monte Ferrato in località Galceti, il toponimo del luogo sembra derivi dal nome di questa argilla. I lanaioli pratesi in questo modo svilupparono quell’arte chiamata appunto "Arte della Lana", che pose  le basi per lo sviluppo delle attività laniere, ancora oggi ben presenti sul territorio.

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