Immagine di Lorenzo Bartolini
A. Dominique Ingres, Ritratto di Lorenzo Bartolini da giovane, 1806, Montauban, Musée Ingres

Nacqui dunque a Savignano, mio Padre si chiamava Liborio Bartolini di Montepiano, nella Contea di Vernio era fabbro di Campagna perciò si trovò colà per lavorare alla fattoria del Conte degli Organi, ove sposò mia Madre Maria Maddalena Magli, figlia del fattore che era bastardo, fui dato ad allattare ad una Gobba, che avendo poco latte suppliva con Castagne; dopo fui trasportato a Vernio; indi a Firenze ove mio padre lavorava per Garzone con poscia Padrone. Stabilita la sua prima bottega in Borgo Ognissanti, avevo allora otto anni e pensò farmi fattorino e menavo il Mantice, cosa che non mi andava a genio... Memorie di Lorenzo Bartolini

Lorenzo Bartolini nasce il 7 gennaio del 1777 a Savignano di Prato, vicino a Vaiano, dove il padre Liborio fa il fabbro e la madre, Maria Magli, è la figlia del fattore. A sette anni il padre lo porta a lavorare in bottega e lo manda a scuola, da dove dopo solo un mese viene espulso per aver lanciato al maestro un calamaio di piombo. Il piccolo Lorenzo, tra gli stenti della miseria, non gusta la spensieratezza dell'infanzia, ma sviluppa «un sangue malinconico che desiderava ad ogni costo progredire in arte che non fosse quella a cui lo si voleva iniziare». A dodici anni entra nell'Accademia di Belle Arti di Firenze e la sua formazione artistica giovanile è influenzata dallo scultore trentino Giovanni Insom. Prosegue con l'apprendistato nella bottega dei fratelli Pietro e Giovanni Pisani. Gli anni di Parigi Inquieto e scontento delle esperienze formative maturate fino ad allora in patria, nel 1797 si stabilisce a Parigi al seguito di un generale francese per il quale fa l'illustratore e frequenta la scuola del David, dove ha inizio l'amicizia con il pittore A. Dominique Ingres, che negli anni lo ritrarrà due volte. Nell'atelier del David, oltre allo studio dell'arte greca arcaica attraverso le incisioni del Flaxman, si studia molto dai modelli viventi, nella convinzione che il bello sia rintracciabile anche in natura. Bartolini trova così conferma in questo ambiente dell'attualità dei suoi interessi verso forme più primitive e naturali rispetto a quelle dell'epoca classica. Il primo riconoscimento lo ottiene nel 1802 vincendo il secondo premio al Prix de Rome. Arrivano così le prime commissioni ufficiali della sua carriera, tra cui un busto di Napoleone e il bassorilievo della Battaglia di Austerlitz per la colonna Vendome, affidatigli dal direttore generale dei Musei francesi Dominique Vivant Denon, consigliere napoleonico per le belle arti. Nel 1806 Ingres lo ritrae nel dipinto conservato al Museo di Montauban. Di nuovo in Italia Grazie alla benevolenza della principessa Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, ottiene la cattedra di scultura nell'Accademia di Carrara, città nella quale si stabilisce dal 1808, senza troppo entusiasmo a dire il vero. Bartolini infatti si è "infrancesito", a tal punto che: «... pareva aver dimenticato l'italiano [...] e spinse così oltre questa avversione all'Italia che fino le più eccelse opere della scultura italiana quasi nulla apprezzava. Nei suoi discorsi, d'ogni tre parole era in francese. Napoleone era il Dio di Bartolini. Esso teneva giorno e notte appesa al collo una saponetta d'oro che conteneva i di lui capelli. A questo suo sviscerato amore per Napoleone contribuiva molto l'idea di credersi esso ad Esso molto somigliante ...» (Niccola Monti, Memorie inutili, 1861). La vivacità dell'ambiente elisiano porta numerosi giovani artisti a Carrara e già nel 1809 la scuola conta circa duecento allievi. In brevissimo tempo Bartolini diventa lo scultore privilegiato della famiglia della Principessa. Nel 1812 viene nominato membro d'onore all'Accademia di Belle Arti di Firenze e nelle lezioni che è invitato a tenere introduce la sua idea dell'imitazione dal Vero anziché del Bello ideale accademico. Non sono anni facili per lui: Bartolini viene più volte messo all'indice per le sue idee politiche e artistiche. L'amicizia con Ingres Nel 1820 ospita a Firenze l'amico e pittore Ingres che lo ritrae nel suo atelier in via delle Belle Donne: una copia di questo dipinto, conservato al Louvre, viene eseguita nel 1845 da Franz Adolf von Stürler ed è qui esposta. Ingres copia per lui la Venere di Tiziano degli Uffizi, ora al Walters Art Gallery di Baltimora, tradotta poi in scultura dal Bartolini. L'amicizia con Ingres entra però in crisi: Bartolini è uno scapolo spensierato, al contrario di Ingres che a fatica riesce a tener dietro al suo stile di vita. L'inizio è idilliaco: «Ci ospita come dei signori» dice Ingres di Bartolini scrivendo a Gilibert, amico di entrambi, «in verità non c'è nulla di italiano in lui se non il suo genio e il suo spirito. Di cuore è tutto francese». Passano pochi mesi e Ingres scrive di nuovo a Gilibert: «Ti potrei fare un libro su ciò che abbiamo sopportato con la pazienza di Nostro Signore, di tutte le impertinenze, scortesie, capricci e guasconate [...] Scrivendogli, non gli parlare più di me, come se fossi morto». Bartolini è uno spirito libero, un personaggio dal carattere complesso, difficile e stravagante: «Lorenzo Bartolini era un matto! Ma di quei matti... Vorrei spiegarmi... Insomma era un matto [...]. Pensionava modelli e modelle col patto che non servissero ad altri» (Niccola Monti, Memorie inutili, 1861). Ma lo scultore pratese è anche estremamente generoso con gli amici e i collaboratori. Anche per questa sua prodigalità vive costantemente nell'affanno dei problemi economici, causati in particolare dal suo modo di lavorare. Egli infatti è capace di abbandonare marmi quasi conclusi se vi trova una vena di imperfezione o se è scontento del risultato ottenuto, e di ricominciare da capo a sue spese. La maturità Bartolini si sposa a 54 anni con Maria Anna Virginia Boni ed ha quattro figlie. Nel 1839 è nominato dal granduca Leopoldo II maestro di scultura nell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, ruolo a cui da tempo ambiva e che gli era stato per anni precluso, dove insegna la sola imitazione della Natura affermando che «tutta la natura è bella, [...] e chi sa copiare, tutto saprà fare». Non esita ad attaccare i dogmi dei classicisti, offrendo per soggetto ai suoi discepoli Esopo che medita sulle proprie favole, mettendo in posa come modello un gobbo nudo in carne ed ossa. Tacciato di essere un «ciarlatano francese di ridicoli sentimenti», Bartolini fa realizzare un anello-sigillo su cui è raffigurato un gobbo barbuto che strozza con la mano destra un serpente dalla testa asinina (significante la Menzogna nella tradizione classica) e con la sinistra brandisce uno specchio (la Verità della Natura). Con questo anello sigillerà d'ora in poi tutte le sue lettere. Apre nel 1840 un nuovo grande studio in borgo San Frediano, ancora esistente, passato agli eredi di Pasquale Romanelli, l'allievo prediletto. Muore a 73 anni, per un attacco di febbre biliare, nella sua casa di borgo Pinti a Firenze, il 20 gennaio 1850. Viene sepolto nella cappella di San Luca della basilica della Santissima Annunziata, accanto alle spoglie del grande Benvenuto Cellini. Una lapide posta in suo onore lo ricorda nella basilica di Santa Croce.

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