Immagine di Giuseppe Meoni
Giornalista e intellettuale, fu insegnante e curatore di testi classici latini e italiani, prima di trasferirsi a Roma, dove diventò direttore del Messaggero, negli anni della prima guerra mondiale. Gran Maestro della massoneria italiana, durante il fascismo fu arrestato e condannato al confino. Visse gli ultimi anni come un prigioniero in casa propria, senza lavoro e oggetto di continue minacce e perquisizioni.

«Un breve mesto corteo - la desolata vedova, i due figli, una diecina di amici fidati - e tanti agenti di polizia accompagnavano all'estrema dimora la salma di Giuseppe Meoni. Dopo qualche centinaio di metri e dopo che i poliziotti ebbero preso scrupolosamente nota dei presenti, fu imposto lo scioglimento del corteo e la bara dovette proseguire sola». Un grande pratese, Giuseppe Meoni; una vita non lunga ma densa, combattiva, dolorosa alla fine. Studente al Cicognini, laureato in lettere, Meoni fu insegnante e curatore di testi classici latini e italiani, prima di trasferirsi trentenne a Roma per intraprendere una carriera di giornalista che lo portò a divenire giovane direttore del Messaggero negli anni della prima guerra mondiale. Repubblicano mazziniano, interventista democratico, oratore e polemista potente in costante contrasto con le derive nazionaliste, Meoni era stato iniziato alla massoneria a cavallo dei due secoli presso la loggia pratese "Giuseppe Mazzoni". Eletto Grande Maestro Aggiunto nel 1919, Meoni, dopo l'auto-esilio a cui fu condannato il Grande Maestro Domizio Torrigiani, si trovò a guidare la massoneria italiana negli anni della presa del potere da parte dei fascisti, che esercitarono sui massoni, su quelli almeno che non si piegavano al nuovo ordine, ogni sorta di prevaricazioni e di violenze. La sua fermezza e il suo coraggio valsero a Meoni prima l'arresto e poi la condanna al confino; passò gli ultimi anni come un prigioniero in casa propria, privato del lavoro e quasi di ogni contatto col mondo, oggetto di continue intimidazioni, di perquisizioni ossessive. Si spense con la dignità di un senatore romano, amareggiato per la sorte sua e del paese: le sue ceneri, tumulate al cimitero del Verano in un colombario chiuso destinato agli oppositori politici (temuti anche da morti, evidentemente), furono raggiunte, tre anni dopo, dalle ceneri di Gramsci. s.f.

Aiutaci a migliorare il sito. Valuta questa pagina