Immagine di Enrico Pecci
Imprenditore simbolo di Prato, fu il primo vero industriale con una mentalità nuova, capace di vedere le cose della città inserite in un quadro economico produttivo internazionale. A lui si deve la nascita del Centro d'arte contemporanea, intitolato al primogenito Luigi.

Enrico Pecci resta ancora oggi l'imprenditore simbolo di Prato. Forse il primo vero industriale con una mentalità nuova, capace di vedere le cose della città inserite in un quadro economico produttivo internazionale. Il suo carisma e la sua capacità di entrare nei problemi e risolverli fecero di lui una sorta di leader naturale. Non perché fu per due volte - nel 1945 e nel 1966 - presidente dell'Unione Industriali Pratese, ma perché, sia in azienda che in città, si era conquistato questo ruolo grazie alla sua serietà, il suo impegno e alla sua capacità di affrontare i problemi cercandone la soluzione. La sua fu una lunga e costruttiva stagione di creatività che lo vide legato a personaggi di grande valore umano, politico, e imprenditoriale, come il presidente di Confindustria Lombardi, l'avvocato Castelnuovo Tedesco, il senatore Guido Bisori e soprattutto il suo grande amico Guido Chiostri. Imprenditore coraggioso e sempre severo con se stesso, aveva dovuto prendersi cura dell'azienda fondata nel 1884, per l'improvvisa morte del padre. E per questo sviluppò presto una fortissima personalità e un sviluppata capacità di accentrare. Una delle sue doti più grandi fu quella di saper scegliere i collaboratori. Non solo nella sua azienda primaria, che era la laniera, ma anche in molte altre che con gli anni aveva acquisito e sviluppato. Era un coagulatore di energie, sia nella vita imprenditoriale che in quella sociale. Capiva con chiarezza il suo tempo perché cercava sempre di capire il domani. Ebbe sempre un forte rapporto con la 'sua' Prato, e va detto che se oggi questa città ha un assetto moderno che vede l'industria proiettata al di fuori delle mura, lo si deve anche a lui. Come a lui si deve il Centro d'arte contemporanea intitolato al figlio Luigi, il primogenito che avrebbe dovuto essere il suo successore se non fosse morto prematuramente. Quando ancora gli imprenditori italiani ricostruivano i danni della guerra, Enrico Pecci girava il mondo, per rimettere in moto il mercato che avrebbe salvato la città, non isolandosi in azienda ma affrontando assieme a pochi altri colleghi una complessa realtà internazionale che tentava di uscire dal dramma della guerra. Morì improvvisamente, nel 1988, come suo padre a come Luigi, quando ornai aveva lasciato al figlio Alberto le responsabilità delle sue aziende. u.c.

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